Internazionalizzazione d’impresa, la ricetta di Jakob
Da Lana a Tampa, in Florida, per lanciare un nuovo business. La storia di Jakob Zuegg di Zuegg Com.
Trasferirsi negli Usa per avviare una nuova impresa. Il progetto di internazionalizzazione d’impresa, che presto diventerà realtà, è di Jakob Zuegg, 32 anni dell’impresa alimentare Zuegg Com con sede a Lana. Zuegg Com sviluppa, produce e commercializza ingredienti per l’industria alimentare e crea e produce prodotti alimentari, primi piatti e dessert, per la grande distribuzione organizzata.
Jakob Zuegg, nato e cresciuto in Alto Adige, ha però una formazione internazionale. Ha frequentato una scuola superiore americana in Inghilterra e poi Regent’s University a Londra. Dopo gli studi è rientrato in Italia per entrare nell’impresa di famiglia. Tra pochi mesi però tornerà in viaggio, direzione Usa. Si stabilirà a Tampa, in Florida dove sta avviando un nuovo business. In quest’intervista ci racconta il perché della scelta e la strategia seguita per approcciarsi al mercato statunitense, un mercato in crescita per le imprese altoatesine. Al momento è uno dei primi cinque mercati per l’export alotatesino, vale 200 milioni di euro e rappresenta il 4% del totale delle esportazioni.
Di che business si tratta?
Venderemo prodotti alimentari italiani negli Usa. Partiamo con prodotti surgelati, come pizza, primi piatti di pasta e dessert come torte in mono porzioni. Non si tratta della semplice pizza ma anche prodotti come la pizza fritta, meno conosciuti, ma che potenzialmente possono essere apprezzati dai clienti. Puntiamo ad offrire delle varietà di alta qualità e collaborare con aziende italiane familiari dislocate in varie regioni, che magari non hanno una struttura tale per lanciare un export negli Usa. Noi vogliamo fare da ponte perché vediamo in loro un grande potenziale. Al momento diverse stanno faticando molto.
Come mai gli USA?
Il mercato statunitense mi è sempre piaciuto, è meno frazionato di quello europeo. Si tratta di un unico mercato con un grande numero di persone, sono consumatori forti, in media spendono di più per i prodotti alimentari degli italiani. C’è quindi un potenziale maggiore rispetto al mercato europeo.
Quali ostacoli ci sono per un europeo che vuole operare sul mercato statunitense?
Il mercato statunitense ha le sue difficoltà. Bisogna avere una conoscenza accurata degli aspetti legali ed economici. Ci sono poi degli ingredienti che negli Usa non sono permessi. Bisogna essere informati su queste differenze e sulle evoluzioni delle norme. Poi c’è la questione dei dazi. Se non si è abbastanza preparati si rischia di sbagliare e dover poi pagare multe salate. Questi aspetti mi frenavano inizialmente, poi mi sono lanciato. Di certo, non si può improvvisare.
Come si è mosso per avviare il nuovo business negli Usa?
Ho cercato un partner italiano che lavorava già lì. È un produttore di gelati con sede italiana a Maranello, ma con un’attività ben avviata, soprattutto negli Usa. Stava cercando qualcuno con cui spingere il progetto e diversificare i prodotti, io ero alla ricerca di qualcuno con esperienza maturata sul campo assieme al quale muovermi con maggior sicurezza. In poco tempo abbiamo deciso di mettere su una nuova azienda.
Siete in fase di lancio dell’impresa. Come sta andando?
Poco più di un anno fa abbiamo iniziato a partecipare a eventi e fiere e abbiamo chiuso i primi contratti con i clienti. Dopo di che è partita la produzione. All’inizio andavo e venivo dall’Alto Adige agli USA, poi ho visto che la nuova attività stava prendendo piede, i risultati arrivavano. Ho capito che era più opportuno dedicarmici totalmente. Ho cercato dei sostituiti che potessero seguire il mio lavoro qui e mi sono preparato a partire.
In che modo la pandemia ha modificato i suoi progetti?
Li ha solo rinviati di qualche mese. Spero di potermi stabilire in Florida a fine anno.
Il lavoro sarebbe possibile a distanza?
No, sono un venditore: il mio è un lavoro basato sulle relazioni interpersonali. La presenza fa la differenza. Vendo non soltanto un prodotto, ma anche un’esperienza, quella di gustare un prodotto europeo, italiano, di alta qualità. Per questo devo incontrare i miei clienti di persona se voglio conquistarli, ottenere la loro fiducia e soddisfazione, sia mia che loro. Di presenza si concretizza e di risolvono eventuali problemi molto più velocemente. Per forza di cose abbiamo mandato avanti l’attività con riunioni virtuali e telefonate, con tutti i problemi che la differenza di fuso orario comportava, ma non appena possibile mi rimetterò su un aereo per incontrare personalmente i miei clienti.
Trasferirsi dall’altra parte del mondo è una scelta importante, non solo dal lato professionale ma anche da quello privato vuol dire iniziare un’altra vita. Questa nuova avventura non la spaventa?
No, per nulla, sento la cultura statunitense familiare, avendo frequentato una scuola superiore americana. Ho anche tanti amici negli Stati Uniti. Avevo da un po’ voglia di fare un’esperienza professionale lì e poter fare qualcosa nel mio settore è sicuramente stimolante. Il modo di lavorare lì mi piace molto.
Cosa le piace del modo di lavorare negli Stati Uniti?
Mi è sempre piaciuto che come fornitore, negli Stati Uniti, visto il grande mercato, si ha a che fare con tanti buyers. Poi apprezzo molto il fatto che non esista il “lei” e che tutti quindi si diano del “tu”. Sembra un dettaglio ma non lo è. Appena mi presento a un cliente sono subito Jakob. La comunicazione è molto più diretta. Pur mantenendo rispetto e correttezza, si istaura subito fiducia. Questo abbatte subito la barriera tra fornitore e compratore, che invece è ben presente, per esempio, quando si opera in Europa. Ho sempre trovato i buyers negli Stati Uniti molto concreti nel loro modo di lavorare e approcciarsi e molto orientati al risultato. Se a loro piace un prodotto e trovano del potenziale, ci mettono del loro per ottenere esattamente quello che vogliono e cercano assieme a te di migliorarlo. Questo per un fornitore è molto stimolante.
Quali sono le sfide della vostra attività?
I clienti sono molto esigenti sia dal punto di vista del prodotto in sé, che riguardo alle schede tecniche e ai documenti da presentare. I prodotti spesso vanno rivisiti e adattati al mercato americano, che predilige sapori più forti, piatti più saporiti, rispetto a quelli più semplici della tradizione italiana. Per esempio, degli gnocchi ripieni di pomodoro e basilico, apprezzati in Italia, negli Stati Uniti ci viene chiesto di esaltarne il sapore con un tocco in più di spezie. Vogliono fare le cose un po’ fuori dal comune. Se presenti una torta a cinque strati, magari te ne chiedono sei. Sta a noi spiegare alle imprese con le quali lavoriamo che è importante adattarsi al gusto del cliente se si vuole vendere il prodotto, anche se ci si discosta dal modo tradizionale di fare le cose. Le aziende sono un po’ scettiche all’inizio, ma poi troviamo disponibilità. Sanno che veniamo da aziende con un’esperienza maturata nell’export e quindi si fidano.
Quali le difficoltà dal punto di vista burocratico?
Dal punto di vista burocratico, ci sono molti adempimenti, bisogna a volte fornire informazioni specifiche sugli alimenti. Da dove viene il latte, quando è stato munto, le caratteristiche dell’animale. Per alcune imprese non è facile.
Quale potenzialità offrono gli Stati Uniti per il vostro tipo di prodotto in particolare?
Il cliente americano è disposto a spendere di più per il prodotto surgelato, se di alta qualità. In Europa non si è tanto disposti a spendere oltre una certa cifra per una pizza surgelata, piuttosto la si ordina o si va a cena fuori. Negli Stati Uniti è diverso. Al cliente piace avere prodotti buoni a casa, non solo per una cena improvvisata, ma per mangiare di qualità. Vale anche per i dessert, sempre di più vengono richieste le mono porzioni anche di torte e dolci, da consumare come snack.